L’iniziativa per la giustizia agli occhi della «Berna federale»

Un rapido esame della vista

L’iniziativa per la giustizia intende sostituire l’attuale procedura periodica di rielezione dei giudici, basata per la rappresentanza proporzionale dei partiti e sul versamento di una tassa sul mandato, con un sorteggio e un periodo di carica fino al raggiungimento dell’età di pensionamento. La Berna federale non presenterà, come originariamente annunciato, un controprogetto, con rimando tra l’altro «al buon funzionamento» dell’attuale sistema.

Questo «buon funzionamento», sottoposto a un rapido test empirico, non supera l’esame. Il sistema attuale ostacola l’indipendenza dei giudici e rappresenta una restrizione illegittima e antidemocratica all’accesso alla carica, in quanto costituisce un’uniformazione disfunzionale dei poteri dello Stato. In compenso, evidenze scientifiche indicano che il sorteggio mirato dell’iniziativa per la giustizia migliorerebbe presumibilmente la diversità e la qualità negli organi giudicanti..

 

1. Le posizioni ufficiali di Palazzo federale

L’iniziativa per la giustizia intende sostituire l’elezione dei giudici attuata finora, che prevede una breve durata del mandato con possibilità di rielezione, la rappresentanza proporzionale dei partiti e il versamento di una tassa sul mandato, con una procedura di reclutamento nuova per la Svizzera. Una commissione peritale politicamente indipendente seleziona in base a criteri professionali e personali un pool di candidati, da cui vengono designati tramite sorteggio giudici federali che rimangono in carica fino al raggiungimento dell’età di pensionamento. Nella Berna federale si delinea un rifiuto dell’iniziativa per la giustizia senza controprogetto.

 

Il 6 novembre 2020 la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale aveva dapprima preso in considerazione di presentare un controprogetto indiretto contenente i seguenti potenziali elementi chiave: mantenimento della durata del mandato di sei anni, tuttavia in futuro con rielezione «automatica o da parte della Commissione giudiziaria su raccomandazione della commissione peritale». A tale scopo occorrerebbe introdurre una commissione peritale in grado di preselezionare le candidate e i candidati alla carica di giudice, tenendo «esclusivamente conto della loro idoneità professionale (inclusa la lingua) e personale». È stata inoltre presa in considerazione l’introduzione di una procedura di revoca del mandato in caso di gravi violazioni degli obblighi. Occorre «esaminare soluzioni alternative ai tributi sui mandati.»[1] Il 3 dicembre 2020 la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha sposato la posizione dell’omonima commissione del Consiglio nazionale. Tuttavia, contrariamente alla commissione omonima del Nazionale, il comunicato stampa della commissione del Consiglio degli Stati prevede di eliminare la rielezione automatica.[2]

 

Il 15 gennaio 2021, la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale ha fatto improvvisamente un’inversione di marcia. «Al termine di una discussione approfondita» la commissione ha deciso di non sottoporre al Parlamento il controprogetto che aveva inizialmente preso in considerazione. La maggioranza della commissione ritiene «che le disposizioni proposte apporterebbero uno scarso valore aggiunto al sistema attuale, che globalmente funziona bene.» La Commissione propone al Parlamento di respingere l’iniziativa per la giustizia. [3]

 

Di conseguenza la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale sposa la posizione del Consiglio federale, il quale è anch’esso a favore di un rifiuto dell’iniziativa per la giustizia senza controprogetto. Il sorteggio è poco adeguato alla designazione dei giudici ed è un «corpo estraneo nell’ordinamento giuridico svizzero»; si fonda sul principio del caso e quindi a divenire giudici del Tribunale federale non sarebbero le persone più adatte tra i candidati. La legittimazione democratica del Tribunale federale ne risentirebbe.[4] Il sorteggio indebolisce «la posizione del Parlamento e dei partiti politici (…) e quindi eventualmente anche l’accettazione del Tribunale federale e delle sue sentenze nella popolazione.»[5] Il Consiglio federale riconosce però «un certo conflitto tra l’indipendenza del mandato e il sistema attuale in cui i giudici sono di fatto membri di un partito politico e devono pagare una tassa per il loro mandato.»[6] Tuttavia «la rappresentanza proporzionale dei partiti ha almeno il merito di garantire una certa rappresentanza dei diversi valori politici e sociali in seno al Tribunale federale e di renderli un po’ più trasparenti.»[7]

 

Finora (per quanto ne risulta) la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati non ha ancora espresso la sua posizione finale.

 

Gli argomenti di cui sopra nonché le proposte corrispondenti, in discussione o formulate, sia delle commissioni parlamentari che dell’iniziativa per la giustizia, vengono sottoposte qui di seguito a un test rapido.

 

 

2. L’attuale sistema «funziona globalmente bene»?

Che l’attuale sistema «funzioni globalmente bene» è una questione di prospettiva. Naturalmente è plausibile che nell’ottica del Parlamento e dei partiti politici che lo sostengono il sistema funzioni molto bene. Uno sguardo ai conti economici dei partiti politici potrebbe senz’altro confermare questa affermazione, basti pensare alle tasse sul mandato.

 

Dai ranghi della magistratura si alzano, invece, voci meno entusiaste. E non soltanto a livello federale, ma già a quello cantonale (il cui sistema di elezione dei giudici si ispira sostanzialmente a quello federale e rende quindi importanti i pertinenti fatti giuridici anche per la presente analisi).

 

Patrick Guidon, presidente dell’Associazione svizzera dei magistrati (ASM), presidente della Camera penale del Tribunale cantonale di San Gallo e professore di diritto penale all’Università di San Gallo, ritiene che la rielezione periodica e le tasse sul mandato costituiscano una limitazione dell’indipendenza dei giudici, perlomeno apparentemente, nell’ottica del pubblico che cerca giustizia, rappresentando quindi un problema di diritto costituzionale.[8] Il legame di fatto necessario tra i candidati giudici e un partito politico limita la scelta di candidati qualificati.[9] A nome dell’ASM, Patrick Guidon è a favore di un controprogetto all’iniziativa per la giustizia che preveda l’introduzione dell’elezione unica, dell’abolizione o della sostituzione delle tasse sul mandato e della professionalizzazione della procedura di selezione.[10]

 

Martin Burger, presidente del Tribunale cantonale di Zurigo ritiene che l’attuale sistema con durate del mandato limitate e rielezione «non funzioni».[11] «Partecipando a processi delicati e sotto i riflettori del grande pubblico, possono verificarsi situazioni in cui come membri di un collegio non ci si senta indipendenti, poiché eventuali reazioni della politica e dell’opinione pubblica potrebbero avere ripercussioni su un’eventuale rielezione.» L’autore constata sì che in Svizzera la giurisprudenza è effettivamente indipendente, ma non a causa dell'attuale sistema di elezione dei giudici, bensì a dispetto di questo sistema, visto tra l’altro «l’atteggiamento perlopiù positivo nei confronti dell’indipendenza dei giudici nella politica.»[12] Se tuttavia, in base all’esperienza del presidente del tribunale del cantone più popolato della Svizzera, non è il sistema, bensì un «atteggiamento della politica» a garantire una giurisprudenza indipendente, allora questa indipendenza appunto non è garantita bensì dipende dalla benevolenza di coloro contro il cui influsso il principio dell’indipendenza dovrebbe proteggere la giustizia.

 

In un’intervista ai media del 5 gennaio 2017, Marianne Heer, giudice cantonale a Lucerna nonché esperta e docente di diritto penale riconosciuta, ha affermato quanto segue[13]: «Nella giustizia penale sono tutti molto sotto pressione. La paura condiziona le sentenze. (…) Ho semplicemente osservato questo fenomeno. Ho 61 anni e devo essere eletta ancora una volta. Fortunatamente sono sempre stata indipendente a livello economico. Alcuni miei colleghi giudici con bambini piccoli hanno detto apertamente di voler evitare problemi legati alla recidiva di un autore del reato per non mettere in gioco la loro carriera. Oggi ai giudici viene rapidamente inflitta una punizione elettorale. L’ho vissuto in prima persona.»

 

In quest’ultimo contesto occorre inoltre richiamare l’attenzione su uno studio empirico recentemente pubblicato da Markwalder/Binswanger, secondo cui in 113 casi analizzati sono state approvate tutte le richieste di carcerazione preventiva del pubblico ministero (nel 2% dei casi si è trattato di richieste di misure sostitutive).[14] Secondo gli autori dello studio, in mancanza di un’analisi dell'andamento di tutti i casi esaminati, non è possibile stabilire in che misura il ministero pubblico abbia per così dire «colpito il bersaglio» già durante la propria preselezione o la valutazione delle possibilità di successo delle proprie proposte di carcerazione.[15] Una tale infallibilità sarebbe tuttavia poco plausibile. Da un’analisi pertinente condotta in Germania nel 2008 (dove i giudici vengono eletti una sola volta fino all'età di pensionamento), ad esempio, è risultata una quota di riuscita del ministero pubblico in termini di proposte di carcerazione pari soltanto a 2/3 circa.[16] Ovviamente questo risultato non è ancora in grado di dimostrare su basi scientifiche che sussiste un nesso causale, indotto dalla paura e dalla dipendenza, tra l’attuale sistema svizzero di elezione dei giudici e l’esito di determinate sentenze di diritto penale pronunciate esercitando una giustizia a favore del ferreo ordine pubblico o anteponendo le esigenze di sicurezza sociali delle correnti politiche dominanti a posizioni individuali in materia di diritti fondamentali. In base a quanto esposto e nel contesto dell’affermazione di cui sopra di Marianne Heer, è tuttavia permesso formulare una rispettiva ipotesi da smentire. Tuttavia la correttezza di una tale eventualità non sarebbe di certo sinonimo di una giustizia «ben funzionante» ai sensi dello Stato di diritto.

 

L’influsso partitico sull’attività giurisdizionale, che si esprime sotto forma di timore di una mancata rielezione a causa di sentenze politicamente poco gradite, è documentato anche a livello di Tribunale federale dalle dichiarazioni pertinenti, ad esempio dei giudici federali Stadelmann, Raselli e Walter.[17]  È di solito possibile dimostrare empiricamente che dietro i risultati più o meno risicati ottenuti da alcuni giudici durante le elezioni per il rinnovo del Tribunale federale si cela una cosiddetta «lavata di capo», ossia un segnale di avvertimento nei confronti di tali giudici.  I giudici interessati sanno quindi che devono «seguire di nuovo la linea».[18] Analogamente al tema precedentemente discusso della potenziale tendenza a esercitare una «giustizia a favore dell’ordine pubblico» o una «giustizia di sicurezza» nell’ambito del diritto penale, anche a livello federale è possibile individuare un nesso tra «lavate di capo» e temi politici scottanti come la naturalizzazione o la discriminazione razziale.[19]

 

Per quanto riguarda il curioso potenziale «buon funzionamento» dell'attuale sistema di elezione dei giudici è inoltre necessario dare uno sguardo alle consultazioni parlamentari durante l'elezione per il rinnovo integrale del Tribunale federale del 23 settembre 2020. Ne risulta, infatti, che l’allora pressione dell’UDC sul giudice federale Donzallaz non può soltanto essere esercitata in ogni momento da tutti gli altri partiti con diritto alla rappresentanza proporzionale, bensì che tale situazione si è realmente verificata in passato anche fuori dai ranghi dell’UDC. «Senatore Jositsch, è consapevole del fatto che la direzione del PS ha di recente convocato anche giudici federali socialdemocratici per farsi spiegare il motivo di una sentenza del Tribunale federale sgradita al partito? (…) Grazie per la sua domanda. Come le ho spiegato l’influsso sui giudici da parte del legislativo, ossia del Parlamento, e dei partiti non è ammesso. Se ciò è accaduto in passato, si è trattato di un errore, indipendentemente dal gruppo parlamentare interessato. (…)»[20] Analogamente a determinate decisioni di diritto penale in cui sono al centro importanti interessi politico-sociali, nel caso Donzallaz si è notoriamente trattato di un rilevante postulato politico-economico, ossia la tutela di interessi economico-bancari. Anche in questo caso si delinea l’ipotesi secondo cui, in base all’attuale funzionamento, il sistema di elezione dei giudici vigente entra in conflitto con l’indipendenza giudiziaria quando si tratta di sentenze concernenti le correnti politiche dominanti.

 

I fatti giuridici descritti non sono soltanto un temporaneo «fenomeno alla moda» attuale. Avevo potuto constatare dinamiche analoghe già nella mia analisi empirica pubblicata a inizio 2002[21]. Già allora alla maggior parte degli otto giudici interpellati nel Cantone di Zurigo erano noti casi in cui un giudice non era stato riproposto per l’elezione e non era stato rieletto. La maggior parte di essi riteneva che la durata limitata del mandato con possibilità di rielezione costituisse almeno un potenziale pericolo alla loro indipendenza, il più delle volte in quanto rischiavano di essere vulnerabili di fronte all’opinione pubblica.[22] È possibile riscontrare facilmente e in modo consistente anche nel passato il fattore paura, tematizzato ad esempio da Marianne Heer e da altri colleghi giudici, in grado di influire sulle sentenze penali pronunciate. Di norma i giudici vengono sì rieletti, ma soltanto perché «seguono la linea». Affinché non escano dai binari, vengono date loro «lavate di capo» regolari.

 

Risultato intermedio: il presunto «buon funzionamento» dell'attuale sistema di elezione dei giudici messo in primo piano dalla Berna federale non corrisponde sempre ai fatti giuridici accertabili. A parte il fatto che appellarsi al «buon funzionamento» non è rappresentativo visto il suo carattere generale, indizi empirici concreti provenienti da fonti di elevata qualità documentano una realtà in cui la Costituzione non funziona come dovrebbe. Indicano soprattutto che il sistema di elezione dei giudici vigente con la sua fattualità è in contrasto con la garanzia dell’indipendenza giudiziaria iscritta nella costituzione e nel diritto internazionale. Ciononostante, nell’ottica dei partiti politici l’affermazione secondo cui l'attuale sistema «funziona in genere bene» è naturalmente corretta: il sistema mette i partiti in «pole position» rispetto alla giustizia, ed è proprio questo l’aspetto anticostituzionale.

 

 

3. Legittimazione tramite la rappresentanza proporzionale dei partiti?

Contrariamente all’opinione della Berna federale, l’attuale situazione anticostituzionale, appena descritta, non può essere legittimata ad esempio da presunti vantaggi della rappresentanza proporzionale dei partiti.  L’affermazione, secondo cui questa rappresentanza abbia il merito di garantire una rappresentanza adeguata delle visioni del mondo presenti nella popolazione e di renderle in un certo qual modo trasparenti, è evidentemente sbagliata.

Non si rivela soltanto sbagliata perché solo il 7% della popolazione avente diritto di voto in Svizzera è membro di un partito politico,[23] e nemmeno perché, presumendo che circa il 50% della popolazione si identifichi con un partito, l’altra metà con visioni del mondo che «esulano da quelle dei partiti» è esclusa a priori da una rappresentanza nei collegi giudicanti. E neppure perché una percentuale di giudici non rilevata empiricamente non aderisce a un partito in base alla propria visione del mondo, ma sceglie piuttosto in chiave opportunistica il partito che offre le migliori possibilità di elezione conformemente ai rispettivi «diritti di rappresentanza proporzionale» del rispettivo partito o a volte addirittura cambia partito (anche «tatticamente» al di fuori della corrente politica), se si libera un posto di giudice «legato alla rappresentanza proporzionale», .[24]

 

La rappresentanza proporzionale dei partiti non assicura la presunta rappresentanza (tanto meno la trasparenza) delle visioni del mondo nei collegi giudicanti neppure perché sarebbe ingenuo pensare che anche per i parlamentari votanti sia prioritario garantire l’attuazione o anche solo la rappresentanza delle visioni del mondo (partitiche). Infatti, a volte i deputati alle Camere federali sono contemporaneamente rappresentanti di interessi remunerati di associazioni economiche e casse malati, di sindacati e di altre istituzioni che perseguono obiettivi particolari.  Questi parlamentari si schierano senza mezzi termini a favore degli interessi (che chiaramente perseguono) dei loro settori o committenti dietro pagamento di un compenso annuo a sei cifre. A seconda della qualità dei loro contatti politici personali e della loro presenza in commissioni parlamentari importanti ecc., le loro attività extraparlamentari sono più o meno importanti.[25] Vista l’esistenza di queste attività di rappresentanza di interessi particolari svolte dietro compenso dai deputati federali, ci si chiede giustamente secondo quali criteri «siedono sul banco dei giudici». O detto in modo pungente: mentre per i candidati a giudice gli interessi di carriera prevalgono, non di rado, su eventuali visioni del mondo, per i parlamentari votanti gli interessi monetari assumono altrettanto spesso un’importanza essenziale. Naturalmente si tratta solo di un’ipotesi, comunque plausibile e che attende di essere smentita. L’insieme dei valori di entrambe le parti coinvolte nell’elezione si ridurrebbe al valore triviale «denaro», forse non sempre, ma probabilmente non di rado. Non è quindi giustificato attribuire una qualsiasi legittimazione alla rappresentanza proporzionale dei partiti prima di aver analizzato a sufficienza empiricamente questa relativizzazione dei valori chiaramente esistente. E ciò tanto meno adducendo che una tale rappresentanza compenserebbe la violazione della garanzia costituzionale di una giustizia indipendente documentata in precedenza.

 

Dopo quanto affermato risulta poco plausibile o persino singolare anche l’opinione sostenuta dalla Berna federale, secondo cui la rappresentanza proporzionale dei partiti e l’elezione parlamentare dei giudici su di essa basata favoriscano l’accettazione del Tribunale federale e delle sue sentenze nella popolazione. Immaginiamo che una persona che ha perso un processo accetti una sentenza a lei non gradita pronunciando le seguenti parole: «Poiché il collegio giudicante era composto in base alla rappresentanza proporzionale dei partiti e i singoli giudici sono stati eletti, dietro versamento da parte dei giudici eletti di una tassa di mandato ai partiti, da rappresentanti remunerati di interessi particolari, riesco naturalmente ad accettare più a cuor leggero la sentenza.» Ovviamente non sarà possibile stabilire in nessun caso empiricamente un tale nesso causale. Il legame dichiarato tra rappresentanza proporzionale dei partiti, elezione parlamentare dei giudici e accettazione delle sentenze risulta, in ultima analisi, una mera razionalizzazione.[26]

 

Se la rappresentanza proporzionale dei partiti non può pertanto compensare in modo legittimo la violazione dell’indipendenza dei giudici esposta all’inizio, essa limita, in maniera non oggettivamente giustificabile, l’accesso generale all’ufficio di giudice a causa di accordi cartellistici tra i partiti politici, talvolta escludendo potenziali candidate o candidati meglio qualificati.[27] La rappresentanza proporzionale dei partiti è anche disfunzionale sotto l’aspetto del principio democratico, in quanto secondo questo principio l’accesso generale a cariche pubbliche dovrebbe essere limitato soltanto per ragioni oggettive, che in questo caso mancano.

 

Quanto appena esposto non può neanche essere relativizzato da uno studio empirico recentemente pubblicato sulle ripercussioni, prevalentemente mancanti, dell’appartenenza di un giudice a un partito o dei rispettivi incentivi di rielezione sulle sentenze del Tribunale amministrativo federale[28]. Lo studio giunge sì alla conclusione che nelle aree di diritto analizzate, ossia diritto delle assicurazioni sociali, diritto in materia di stranieri e diritto d’asilo, l’appartenenza a un partito politico o gli incentivi di rielezione corrispondenti influiscono per la sentenza semmai solo in parte e comunque non in modo significativo.[29] Ma la sola eventualità che ciò potrebbe essere realtà è abbastanza sorprendente, se si tiene presente la modalità operativa della designazione parlamentare dei giudici esposta in precedenza. La rielezione non presuppone soltanto l'approvazione del proprio partito, bensì anche quella di tutti i partiti aventi diritto alla rappresentanza proporzionale. Si presume, logicamente, che ciò non obblighi un giudice a seguire la propria linea di partito, ma piuttosto che il giudice sappia che deve seguire nella sua funzione di denominatore comune la linea delle correnti politiche dominanti appoggiata da tutti i partiti aventi diritto alla rappresentanza proporzionale. I fatti giuridici sull’indipendenza esposti in precedenza confermano questa ipotesi. L’elezione parlamentare dei giudici cartellistica e basata sul consenso informale di tutti i partiti importanti tipica della Svizzera porta nei nostri collegi giudicanti un tipo di giudice a favore del conservatorismo istituzionale (ossia in sintonia con le correnti dominanti) con tutte le conseguenze derivanti per la tutela dei diritti individuali di coloro che differiscono dalla preferenza della maggioranza.[30] In parole povere, porta all’elezione di un giudice che funge da rappresentante politico della maggioranza[31], il che non è conforme allo stato di diritto che presuppone la separazione dei poteri.

 

Altro risultato intermedio: la legittimazione ipotizzata dalla Berna federale della violazione dell’indipendenza giudiziaria da parte della rappresentanza proporzionale dei partiti si rivela un errore. La rappresentanza proporzionale dei partiti non ha conseguenze legittime sotto nessun aspetto importante. Al contrario, essa porta all’uniformazione dei poteri dello Stato che nello stato di diritto dovrebbero in realtà mantenersi reciprocamente in equilibrio conformemente al sistema di «check and balance» (controllo e bilanciamento reciproco).

 

 

4 La Berna federale insiste sul mantenimento della procedura elettorale parlamentare: una convinzione ragionevole?

Se in una riflessione ulteriore si associa ogni procedura elettorale parlamentare alla suddetta rappresentanza proporzionale dei partiti (visto che sembra essere questo il modo di pensare e di comportarsi dei politici appartenenti ai partiti), si pone la seguente domanda logica su cui riflettere: ma quali sono i vantaggi di una elezione dei giudici a opera del Parlamento rispetto a metodi alternativi di reclutamento di giudici, ivi compreso un eventuale sorteggio? In altre parole: perché la Berna federale insiste, alla luce di tutte le varianti indicate inizialmente, per la procedura elettorale parlamentare in una forma o nell’altra (che prevede la siffatta rielezione «tacita» o la rielezione da parte della Commissione giudiziaria)? 

 

Questa domanda si pone non solo perché la rappresentanza proporzionale dei partiti, che ha la sua logica ad ogni elezione del Parlamento, non presenta nessun nesso oggettivo convincente con l’l’ufficio di giudice. Ma anche perché la rappresentanza proporzionale dei partiti – incluse le concessioni delle commissioni delle istituzioni politiche di entrambe le Camere federali – è di fatto a livello federale incontestabilmente il criterio principale per l’elezione dei giudici.[32] Anche la magistratura giudicante disapprova l’«eccessiva ponderazione dell’appartenenza ai partiti nella selezione», mentre si trascura «la competenza sociale dei giudici».[33]

 

Una dimostrazione di quello che ciò può significare concretamente si trova ad esempio nel verbale del rinnovo integrale del Tribunale federale il 1° ottobre 2008. Rispettando la rappresentanza proporzionale dei partiti la Commissione giudiziaria si era accordata su quattro candidati (due del PPD, un Verde e uno dell’UDC). Il gruppo del PLR aveva cercato di rompere la rappresentanza proporzionale dei partiti messa in campo presentando una propria candidata e mettendo in risalto la presunta maggiore competenza professionale, l’idoneità personale ecc. Nel verbale dell’Assemblea federale plenaria non vi traspare neanche l’ombra di una discussione approfondita che vertesse su rispettivi criteri di elezione oggettivi. La «discussione» concernente i candidati proposti non va oltre qualche accenno sull’idoneità professionale globale non meglio specificata dei candidati di maggioranza prenominati in modo poco trasparente dietro le porte chiuse (nei gruppi parlamentari e nella Commissione giudiziaria). La candidata di rottura del PLR non ha avuto scampo e soprattutto è venuta a mancare completamente una riflessione sul contenuto. Le acclamazioni del Parlamento, rivolte alle candidate e ai candidati preselezionati dietro le quinte, erano solo pro forma.[34] I verbali di altre elezioni di giudici a opera dell’Assemblea federale plenaria sembrano attestare in modo ancora più chiaro la noncuranza praticamente totale di criteri d’idoneità personali o professionali dei candidati a giudice. Ad esempio, in occasione del rinnovo integrale del Tribunale federale del 24 settembre 2014 trasformatosi in una pura formalità, l’insieme dei candidati preselezionati in segreto è stato «rieletto» – o semplicemente ancora una volta acclamato – senza batter ciglio e senza alcuna discussione materiale, con rimando a un rapporto scritto della Commissione giudiziaria, cui non seguì nemmeno una richiesta d’intervento.[35]

 

Inoltre, pecca di trasparenza ciò che accade a tale proposito dietro le porte chiuse mentre la Commissione giudiziaria prepara l’elezione. In ogni caso secondo la dottrina non pare che l’attività della Commissione giudiziaria abbia portato a una professionalizzazione dell’elezione dei giudici e, nonostante i bandi di concorso pubblici dei posti vacanti avvenuti pro forma e di per sé senza chance, abbia depoliticizzato minimamente l’elezione dei giudici.[36] Pare piuttosto che il processo decisionale, immutato e politicizzato, si sia spostato ancora di più dietro le quinte.[37] Il fatto che nell’organo preposto all’elezione, vale a dire nell’Assemblea federale plenaria, si assista unicamente ad acclamazioni, che la vera e propria elezione (e non solo i suoi preparativi tecnico-informativi) si svolga presumibilmente «sotto banco», in segreto e senza possibilità di verifica, potrebbe anche essere giustificato dalla realtà del funzionamento di un Parlamento. Anche se non in sintonia con le linee guida del legislatore, tale meccanismo decisionale porta in fin dei conti a risultati oggettivamente convincenti (cosa che nella fattispecie non è per nulla giudicabile) quando sono richieste soluzioni politiche rette sull’equilibrio di interessi e per la ricerca del consenso. Tuttavia, per l’assegnazione di una carica in seno a un organo composto di esperti e specialisti (ossia l’organo giudicante), responsabile della certezza del diritto e della tutela dello stato di diritto, tali modalità operative sembrano inadatte sotto tutti i punti di vista pensabili. Ad esempio, poter leggere, nel rapporto della Commissione giudiziaria del 20 giugno 2006 concernente i preparativi all'elezione in seno al Tribunale amministrativo federale, che la durata delle audizioni dei candidati è stata fissata – come già avvenuto in occasione della preselezione per il Tribunale penale federale – a 15 minuti, non lascia presagire un’elevata qualità decisionale.[38] Occorre porsi la domanda che cosa possa essere verificato in un periodo così breve. Nell’economia privata dura molto di più già solo un colloquio di lavoro per un qualsivoglia impiegato ausiliare. In ogni modo, alla luce di quanto detto e dell’esiguo numero di documenti scritti disponibili al pubblico, non si può certo affermare che il modo di procedere della Commissione giudiziaria per occupare posti vacanti in seno all’organo giudicante secondo criteri oggettivi e per prendere una decisione efficace sia di qualità notevole.

 

Ciò che è appena stato constatato in riferimento alle elezioni sembra far testo anche qualora sia in discussione una non elezione. Un confronto pertinente sui contenuti che tiene conto di criteri d’idoneità oggettivi o personali non ha apparentemente avuto luogo in occasione dell’elezione o della non elezione della presidente e del vicepresidente del Tribunale federale il 16 dicembre 2020, benché il comportamento dei candidati fosse messo in dubbio per motivi disciplinari e fosse (o forse è ancora) oggetto di una procedura penale per diffamazione. La Commissione giudiziaria ha fatto sapere in modo lapidario che «si era dello stesso avviso della corte plenaria, vale a dire che queste due persone erano idonee per le due cariche sia dal punto di vista professionale che personale».[39] Nel verbale della seduta plenaria dell’Assemblea federale plenaria la decisione concernente l’elezione da parte della maggioranza delle camere dopo il riassunto dell’intero «storico processuale» formale non viene corredata di altre motivazioni rilevanti: nonostante gli avvenimenti oggetto di critica, la Commissione giudiziaria è giunta alla conclusione che entrambi i candidati erano idonei. «Entrambi sono stati in grado di esporre e chiarire tutti gli aspetti affrontati e si sono dimostrati visibilmente interessati e volenterosi a promuovere la collaborazione fra le istituzioni in questione, quindi fra il Tribunale federale, le Commissioni della gestione e il Tribunale penale federale», si afferma tout court.[40] Con riferimento a Burger si potrebbe dire: «Se quindi, nonostante singoli «casi di disturbo», la rielezione della magistratura giudicante di solito è sicura, che senso avrebbe questa rielezione ogni sei anni? In caso di incapacità di esercitare la carica o di gravi violazioni dei doveri d’ufficio, la probabilità di una non rielezione ogni sei anni sembra essere una misura inadatta per poter porre rimedio in tempi utili.»[41] Occorre aggiungere: non solo per via del lasso di tempo ma anche a causa delle evidenti lacune nella qualità del dibattito e decisionale riscontrata sia nella Commissione giudiziaria, sia nell’Assemblea federale plenaria. Con ciò non si intende del resto criticare il risultato di suddetta operazione elettorale del 16 dicembre 2020, bensì «unicamente» – cosa non meno grave – la sua base informativa oggettiva evidentemente lacunosa e la mancanza di qualità nel dibattito.

 

Altro risultato intermedio: se nel Parlamento non ha quindi luogo un’elezione basata sui contenuti e non si riscontra nemmeno un accenno di discussione riguardo ai criteri d’idoneità pertinenti per i candidati all’autorità giudiziaria, e se i preparativi alle operazioni elettorali cui è chiamata la Commissione giudiziaria rimangono in un ambito segreto e allo stesso tempo sono qualitativamente lacunosi, ci si chiede giustamente quale sia il valore aggiunto apportato da decisioni elettive parlamentari tese ad assegnare un posto in seno all’organo giudicante. Ciò vale per qualsiasi variante di elezione di giudici effettuata dal Parlamento, che si tratti della rielezione dopo sei anni o della rielezione «automatica» o della «rielezione» da parte della Commissione giudiziaria che opera in segreto oppure anche di un’eventuale elezione unica a vita. Anche in quest’ultimo caso l'elezione da parte del Parlamento si effettuerà presumibilmente secondo le regole di cui sopra: farà testo solo, unicamente ed esclusivamente la rappresentanza proporzionale dei partiti, senza alcuna qualità decisionale oggettiva convincente. Per dirla in parole povere: come dimostrato nell’esempio pare più che evidente che il Parlamento non sia minimamente in grado di svolgere il proprio compito egregiamente quando deve occuparsi dell’assegnazione di posti in seno all’organo giudicante e operare con oggettività e nozione di causa.

 

Con ciò non si intende dire che non possano essere così eletti giudici di grande valore. Nella mia attività di avvocato di quasi 25 anni e quindi nella mia veste di «utente assiduo» del sistema giudiziario ho di continuo a che fare con magistrati validi e altamente qualificati. Solo che la designazione di magistrati di tale caratura non ha luogo a causa dell’attuale sistema di elezione dei giudici bensì a dispetto di tale sistema. Siamo ovviamente in presenza di una situazione intollerabile. Allo stato dei fatti sorprende che sia proprio anche la magistratura giudicante a insistere sul postulato di mantenere l’elezione dei candidati a giudice da parte del Parlamento.[42]

 

La convinzione riguardo all’elezione da parte del Parlamento non è poi difendibile per motivi riconducibili alla legittimazione democratica. Non solo, perché come esposto sopra, la realtà dei fatti (difficilmente modificabili) spoglia di legittimità l’elezione da parte del Parlamento, ma anche perché procedure di nomina alternative possono conferire altrettanta legittimazione democratica alla procedura. Usando il buon senso non è quindi contestabile che in Germania i giudici nominati dal governo fino all’età di pensionamento siano anche legittimati democraticamente. La stessa cosa vale per i giudici reclutati da consigli giudiziari (come ad esempio in Italia), tanto più che questi operano in attuazione di leggi emanate democraticamente. Non si potrà nemmeno addurre argomenti convincenti secondo cui la catena di legittimazione legata in modo diretto o lineare al Parlamento abbia una maggiore legittimazione democratica rispetto a una legittimazione collegata al Parlamento in modo più articolato, ad esempio tramite il governo o un organo specializzato. La catena di legittimazione democratica è in fin dei conti essenzialmente un criterio procedurale formale poco eloquente riguardo alla qualità, e alla fine, anche alla legittimità contenutistica del relativo processo decisionale. Con ciò non si intende di certo mettere in dubbio la necessità di una tale catena di legittimazione democratica. Con ciò si intende, per lo meno e soprattutto, soltanto richiamare alla mente che le considerazioni concernenti la democrazia non esigono necessariamente un reclutamento dei giudici per via parlamentare (il che, come dimostrato, in Svizzera non ha dato buoni risultati).

 

 

5. Il sorteggio ha quindi la meglio?

Torniamo così al punto di partenza delle possibili proposte di riforma avanzate dal Parlamento (o dalle sue commissioni) enunciate inizialmente che forse non diverranno mai realtà: il sorteggio conformemente all’iniziativa per la giustizia. Esso rappresenta un’alternativa valida all’elezione dei giudici a opera del Parlamento, palesemente disfunzionale?

 

La dottrina giurisprudenziale assume, per quanto evidente ad oggi, un atteggiamento scettico o sfavorevole nei confronti del sorteggio. Schindler, ad esempio, critica che così l’accesso al Tribunale federale si riduce a una «lotteria». Al tempo stesso colloca il sorteggio nel passato storico, quando occorreva tagliare i «nodi gordiani» dell’Ancien Régime o fronteggiare l’allora diffusa venalità delle cariche; oppure banalizza la procedura del sorteggio menzionando come al giorno d’oggi essa venga adottata, ad esempio, per la concessione di licenze di caccia per «cinghiali friburghesi» o «stambecchi glaronesi».[43] In un’altra sede lo stesso autore si esprime come segue in merito al sorteggio: «Oggigiorno la decisione tramite sorteggio ci pare espressione di una lotteria casuale. In chiave storica questa prospettiva però non attecchisce. Il sorteggio corrisponde piuttosto a un’idea di uguaglianza politica radicale, secondo cui ogni persona dovrebbe avere le medesime opportunità di rivestire una carica. (…) Il nostro rapporto con il sorteggio è però mutato: democrazia significa per noi oggi, in primo luogo, una decisione elettorale consapevole a favore di una persona, di cui vogliamo conoscere con la maggior precisione possibile la collocazione politica.»[44] [45]

 

A parte il fatto che anche l’attuale elezione di giudici – a livello federale e cantonale (al momento ad eccezione del Cantone di Friburgo) – in verità non è altro che venalità delle cariche (dietro pagamento di versamenti ai partiti di appartenenza) e che quindi in tale ambito purtroppo non abbiamo cambiato nulla rispetto all’Ancien Régime e fatta astrazione che – come illustrato – la procedura elettorale parlamentare non garantisce proprio la trasparenza decisionale lodata da Schindler, l’archiviazione del sorteggio nell’oblio storico è altrettanto sbagliata come il suo tentativo di banalizzazione o appunto di radicalizzazione. Basta dare un breve sguardo a pertinenti articoli specialistici: il sorteggio per l’assegnazione di posizioni critiche è una procedura moderna nonché diffusa ed efficace anche nell’economia. Varie evidenze suffragano tale affermazione.

 

Amanda Goodall, economista e allieva di Anthony Giddens, ad esempio, scrive nel Financial Times del 7 settembre 2020: «La selezione aleatoria per le cariche non è un’idea bizzarra».[46] Per migliorare la diversità nei vertici dell’economia privata propugna «il ricorso alla selezione aleatoria da un pool di candidature preselezionate per il reclutamento del personale dirigente medio.» E ancora: «Dal lato della domanda i reclutatori tendono ad assumere un atteggiamento prevenuto e danno prova di irrazionalità. La neuroscienza dimostra la difficoltà di domare le associazioni di idee basate su stereotipi, che si riflettono sul comportamento sotto forma di pregiudizi inconsci. Quando i candidati presentano caratteristiche che li distinguono fortemente gli uni dagli altri, risulta molto più difficile compararli. In tali casi la ricerca lascia intendere che le valutazioni tenderanno implicitamente a essere condizionate da pregiudizi, stereotipi e dalla predilezione di candidati a propria immagine e somiglianza.» Goodall avrebbe benissimo potuto riferire questa frase con convinzione al sistema svizzero di elezione dei giudici, viste le constatazioni e le conclusioni riportate sopra. Anche riguardo alla seguente affermazione dell’autrice non vi è molto da aggiungere:

 

«Avvalersi della selezione aleatoria presenta vantaggi in termini di diversità e di efficacia. Il primo vantaggio consiste nel fatto che questa procedura favorisce le nuove leve in quanto riduce l’omofilia[47] e altri criteri di selezione. In particolare, protegge le donne e le minorità etniche dal fallimento interiorizzato e riduce la propensione dei vincitori di credere di essere persone chiamate a rivestire una carica e di vantarsi eccessivamente del loro successo. Anche l’efficacia sembra migliore. Un secolo fa un matematico danese, Johan Jensen, spiegò con grande intelligenza l’interesse per la selezione aleatoria. Tutto si basa per la forza della media. Prendete l’esempio della scelta dei responsabili gerarchici. Immaginate che vengano estratti da un cappello che contiene i nomi di potenziali candidati debitamente qualificati. Fare la media delle buone e delle cattive scelte darebbe un buon risultato per l’organizzazione, se i candidati veramente buoni avessero la meglio sull’influenza negativa dei candidati inadeguati. Sappiamo che dal punto di vista del fattore umano il meglio delle candidature costituisce spesso un contributo infinitamente prezioso in un’organizzazione. E ciononostante, al momento del colloquio di lavoro, proprio queste persone sembrano rappresentare una scelta rischiosa per un comitato preposto alla selezione.»

 

Sulla stessa falsariga si regge l’argomentazione del saggio scientifico di Goodall/Osterloh del 14 agosto 2017, pubblicato con il titolo «Lack of diversity in leadership: can random selection break the deadlock?» (Mancanza di diversità fra il personale dirigente: la selezione aleatoria potrebbe aiutare a superare l’impasse?) [48] Sulla base di evidenze pertinenti si illustra come il sorteggio evita, ad esempio, l’influsso sleale di gruppi di interesse politici su decisioni politiche e come, attuando nel tempo con coerenza la procedura tramite sorteggio, si migliora dopo un certo periodo la diversità nell’assegnazione di posizioni di rilievo (a prescindere dai criteri adottati, quindi ad esempio dalla personalità, dall’orientamento sessuale, dalla creatività o dal talento).[49] È tra l’altro comprovato che l’assegnazione di cariche dirigenziali mediante sorteggio selezionato o mirato (ovvero tramite estrazione a sorte da un pool di candidati preselezionati in base a criteri oggettivi pertinenti) incrementa l’efficacia di organizzazioni nell’economia privata, semplicemente perché comporta una migliore selezione delle persone.[50] Le ripetute estrazioni a sorte statisticamente efficaci nel tempo di candidati altamente qualificati compenserebbero di gran lunga persino occasionali «cattivi» sorteggi.[51] L’esperienza insegna infine che a tali sorteggi partecipano anche candidati altamente qualificati che altrimenti non sarebbero disposti a candidarsi.[52] In riferimento alla problematica discussa in questa sede possiamo affermare: è verosimile che un sorteggio mirato spinga candidati potenziali, altamente qualificati e avversi alla politica, a presentarsi per l’elezione in seno all’organo giudicante, incrementando la qualità del sistema giudiziario.

 

Questi pareri vengono avvalorati anche da autori americani e possono senz’altro essere resi plausibili matematicamente.[53] Infine, anche ricercatori svizzeri chiedono che le cariche dirigenziali vengano occupate mediante sorteggio. In base ad articoli apparsi recentemente nei media [54], ad esempio gli economisti elvetici Margrit Osterloh e Bruno S. Frey insieme alla sociologa Katja Rost, sono dell’avviso – tra l’altro basandosi su risultati ottenuti da esperimenti empirici effettuati in collaborazione con il Politecnico di Zurigo – che il personale dirigente, eletto mediante sorteggi mirati, sopravvaluti meno le proprie capacità e faccia un uso indebito del proprio potere in minor misura rispetto ad esempio a persone reclutate mediante test di rendimento. I candidati che escono sconfitti dal sorteggio salverebbero la faccia, in quanto una mancata elezione in un sorteggio, per forza di cose, non equivarrebbe a un fallimento personale. Si presenterebbe pertanto un numero più cospicuo di potenziali candidati idonei rispetto a un reclutamento prettamente meritocratico. E infine: «Se è il sorteggio a decidere chi la spunta fra i candidati di una lista ristretta, non valgono la pena né la corruzione, né i tentativi per fare salti di carriera approfittando di favoritismi derivanti da amicizie personali. In questo modo l’elezione non è preclusa nemmeno agli outsider. Inoltre, diminuiscono le tensioni fra gruppi nemici, poiché ogni gruppo ha la stesse chance di giungere al potere.»[55]

 

La procedura tramite sorteggio voluta dall’iniziativa per la giustizia ha quindi la meglio sull’attuale procedura di elezione dei giudici? La risposta dipende in larga misura dall’oggettività o dalla pertinenza dei criteri definiti per la composizione del pool di candidati da cui verrebbero estratti a sorte i vincitori. La proposta dell’iniziativa per la giustizia che vuole la creazione – mediante un processo legittimato democraticamente – di questo pool di candidati da parte di una commissione peritale politicamente indipendente, rappresenta in questa ottica l’elemento chiave più importante dell’iniziativa, cui spetta – secondo il parere difeso in questa sede – la massima attenzione nell’attuazione dell’iniziativa. L’approccio dell’iniziativa per la giustizia è comunque, secondo quanto esposto sopra, tutt’altro che una stravaganza esotica di vecchio stampo, per niente banale e tanto meno radicale. Le affermazioni in merito riportate nella letteratura giurisprudenziale si rivelano pertanto essere non scientifiche. Evidenze economiche e matematiche depongono a favore della bontà della procedura tramite sorteggio mirato. Nel dibattito imminente che verterà sull’iniziativa per la giustizia occorre assolutamente tenerne conto.

 

 

6. Risultato dei test e prospettive

Secondo quanto esposto finora, la Berna federale non ha purtroppo passato l’esame della vista rapido. Rimandando in modo generale al presunto «buon funzionamento» dell’attuale sistema di elezione dei giudici e al presunto effetto legittimante della rappresentanza proporzionale dei partiti, gli attori politici della Berna federale, metaforicamente parlando, non sono stati nemmeno in grado di leggere la prima riga a caratteri cubitali della tavola ottotipica. Il loro punto di vista è in contraddizione con le chiare evidenze empiriche e con gli obiettivi costituzionali rilevanti del reclutamento dei giudici.

 

Ovviamente si tratta solo del risultato di un test rapido e ogni test rapido necessita di ulteriori verifiche. Tuttavia, come ogni test rapido, anche questo ha comunque un valore indicativo. E come per ogni test rapido non sarebbe saggio ignorarne semplicemente il risultato.

 

Gli attori politici nella Berna federale farebbero bene a prendersi a cuore i punti di critica di cui sopra nell’interesse di un’evoluzione positiva della gestione della costituzione svizzera. In un Paese, che dispone di una giurisdizione costituzionale limitata per quanto riguarda le leggi federali, una giustizia, come minimo debitamente presieduta secondo i canoni dello Stato di diritto nonché parimenti funzionante secondo i canoni dello Stato di diritto, è una richiesta di urgente necessità. L’iniziativa per la giustizia, che punta a tale obiettivo, non è per niente l’espressione di una fantasticheria radical-democratica. Come mostrato, le sue richieste si reggono per la solidità di fondamenta scientifiche valide. Questa iniziativa offre alla Svizzera l’opportunità di gettare, attraverso una reale innovazione politica, le basi per una nuova tendenza internazionale, anziché ricorrere come finora a «standard internazionali» definiti altrove.

 

[1]Cfr. Oggetto n. 20.480 su Curia Vista.
[2]Comunicato stampa dell’Assemblea federale del 3 dicembre 2020, ore 16.40.
[3]Comunicato stampa dell’Assemblea federale del 15 gennaio 2021, 15 000, pagina 1.
[4]FF 2020, 6000.
[5]FF 2020, 5979.
[6]FF 2020, 5978.
[7]FF 2020, 5994.
[8]Guidon, Justiz-Initiative: Eckpunkte eines Gegenentwurfs und Ausblick, in: «Justice - Justiz – Giustizia“ 2020/4, capitoli 2.1 e 2.2 con i riferimenti citati.
[9]Guidon op. cit. Capitolo 2.3 con i riferimenti citati.
[10]Guidon op. cit. Capitolo 3
[11]Burger, Richterwahl, Parteiproporz und Parteisteuern, in: ZBl 121/2020, 57 seg., 57.
[12]Burger op. cit.
[13]Kleine Verwahrung: „Die Angst beeinflusst die Urteile“, in: WOZ n. 01/2017 del 5.01.2017.
[14]Markwalder/Binswanger, Die Anordnung von Untersuchungs- und Sicherheitshaft: Eine empirische Analyse, in: forumpoenale 5/2020, 384 e segg., in particolare 386 seg.
[15]Markwalder/Binswanger op. cit. 387.
[16]Busse, Frühe Strafverteidigung und Untersuchungshaft. Eine empirische Studie, Göttingen 2008, 265.
[17]Luminati/Contarini, Die Bundesrichterwahlen im Wandel: «Kampfwahlen», «Denkzettel» und andere Eigentümlichkeiten, in: ZBl 1/2021, 3 segg., 25 seg. con i riferimenti citati.
[18]Questa la conclusione di Luminati/Contarini op. cit. 25 segg.
[19]Luminati/Contarini op. cit. 30 con i riferimenti citati.
[20]BU 2020 V 1972.
[21]Livschitz, Die Richterwahl im Kanton Zürich. Ihre Faktizität am Obergericht und an den Bezirksgerichten als verfassungsrechtliches Problem, Zurigo 2002, in particolare 220 segg. con i riferimenti citati.
[22]Livschitz op. cit. 223.
[23]Cfr. anche Schindler, Das Parteibuch der Richterinnen und Richter: Fluch oder Segen? ZBl 1/2021, 1 seg., 2.
[24]Burger op. cit. 58; Guidon op. cit. Capitolo 2.3.; Raselli in: der Kreis der Richterkandidaten ist zu klein (Streitgespräch mit Mark Livschitz), presa di posizione 6/18, 9.
[25]Furger/Hossli/Tanner/Waltersperger, Die stille Macht im Bundeshaus: Wie Lobby-Firmen für 100’000 Franken Gesetze stoppen, in: NZZ am Sonntag del 21 settembre 2019.
[26]Stranamente questa razionalizzazione continua a essere diffusa, senza evidenza empirica, anche da esperti di diritto pubblico affermati come Schindler, Losverfahren – Möglichkeiten und Grenzen des ausgleichenden Zufalls, in: ZBl 12/2018, 617 seg., 618 con i riferimenti citati.
[27]Raselli op. cit. 8.
[28]Gertsch, Richterliche Unabhängigkeit und Konsistenz am Bundesverwaltungsgericht: eine quantitative Studie, in: ZBl 1/2021, 34 segg.
[29]Gertsch op. cit. 47-49.
[30]Livschitz op. cit. segnatamente 285 segg.
[31]Livschitz op. cit.
[32]FF 2020, 5983.
[33]Alder/Gerni, «Das Bundesgericht hat seine Aufsichtspflichten nicht wirklich wahrgenommen und Fehler gemacht», intervista con Marianne Heer in: NZZ del 16 giugno 2020.
[34]BU 2008 V 1590.
[35]BU 2014 V 1879.
[36]Luminati/Contarini op. cit. 13.
[37]Questa la conclusione di Luminati/Contarini op. cit. 14.
[38]Rapporto della Commissione giudiziaria del 20 giugno 2006 per la preparazione dell’elezione in seno al Tribunale amministrativo federale 8.
[39]Alder/Gyr, Wahl mit Misstönen – wenn die obersten Richter der Schweiz selber in einen Rechtsstreit verwickelt sind, NZZ del 15 dicembre 2021.
[40]BU 2020 V 2745.
[41]op. cit. 57.
[42]Raselli op. cit. 6; Guidon op. cit. cap. 3.1.
[43]Schindler, Losverfahren – Möglichkeiten und Grenzen des ausgleichenden Zufalls in: ZBl 12/2018, 617 seg., 618.
[44]Schindler, Richterliche Unabhängigkeit im Spannungsfeld von Demokratie und Parteipolitik, Autoreninterview mit dem Schulthess-Verlag vom Januar 2021 su www.schulthess.com/buchshop/fachkatalog/autoreninterviews/.
[45]NdT: una parte dell’intervista è disponibile in italiano
[46]https://www.ft.Com/Content/Bfd389c6-7a68-4c51-Ad1b-3634149742e6 (consultabile solo per gli abbonati).
[47]NdT: tendenza degli individui ad associarsi e a creare legami con altri considerati simili
[48]www.amandagoodall.com/women-and-random-selectionAug2020.pdf.
[49]Osterloh/Goodall op. cit. 5.
[50]Osterloh/Goodall op. cit. 8 segg.
[51]Osterloh/Goodall op. cit. 9.
[52]Osterloh/Goodall op. cit. 10.
[53]Vedi ad es. Kroeger, Random Selection is a Great Equalizer, saggio del 30 gennaio 2019, consultabile su https://kentkroeger.medium.com/random-selection-is-a-great-equalizer-aa6ac7198bc5,
[54]Fuster, Chef aus Zufall: Wäre die Wirtschaft besser dran, wenn die Führungskräfte per Losentscheid ausgewählt würden?, in: NZZ del 23 novembre 2020 (articolo tradotto in italiano con il titolo: Boss per caso: non andrebbe meglio l’economia se i dirigenti venissero estratti a sorte?).
[55]Fuster op. cit.

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